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I due scritti, "La decadenza della menzogna" (1889) e "Il critico come artista" (1891), racchiudono la critica estetica di Wilde, improntata sulla convinzione dell'assoluta superiorità dell'arte rispetto alla vita. Anzi, è proprio quest'ultima che dovrebbe fondarsi ed ispirarsi al fare artistico come principio esistenziale. Entrambi i saggi risultano rilevanti non solo per capire il Wilde filosofo, ma anche per capire meglio la sua teoria sulla critica dell'arte. In essi l'autore esprime alcune idee che oggi ritroviamo nelle argomentazioni di certi critici contemporanei; in particolare di quelli che vedono l'opera d'arte come aperta, cioè in continuo scambio interpretativo, diventando essa stessa un pretesto per nuove riflessioni che trascendono l'arte. Così, rivalutando la figura del critico, Wilde l'avvicina a quella dell'artista.