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Sebastiano Caboto, veneziano per nascita e cosmopolita per vocazione, racconta in questo romanzo le prime esperienze di cartografo e la frequentazione di quel cenacolo di astronomi, geografi, navigatori e stampatori che, insieme, stavano dando forma, nell'Europa fra quattro e cinquecento, al mondo come lo conosciamo oggi. Ma soprattutto racconta i viaggi, il mare e l'avventura, in un'epoca, a ridosso delle imprese di Colombo, in cui le descrizioni dei navigatori erano un impasto di rigore scientifico e di racconti fantastici; in cui l'uso di strumenti di precisione si mescola alla credenza in leggende e suggestioni antiche; in cui le tempeste si scansano per una scelta accorta della latitudine e per le preghiere delle donne rimaste a casa a aspettare. Racconta l'ansia di affrontare "l'ignoto davanti a noi", la necessità di piegarsi all'evidenza che navigando a Ponente per giungere a Levante si incontra una nuova terra, immensa, tutta da esplorare, da capire, da attraversare, da spiegare.