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Filosofi e scrittori di tutti i tempi hanno difeso a spada tratta il diritto al dolce far nulla, inteso come elemento fondamentale del ritmo della vita e contrapposto al mito produttivista della società moderna. "Dobbiamo rivalutare il significato di ozio dandogli la connotazione positiva di ricerca del piacere all'interno del difficile mestiere di vivere" dice Robert Louis Stevenson nel suo acuto libretto "Elogio dell'ozio", scritto di getto nel luglio del 1877. Le sue parole suonano come frustate in faccia a chi è catturato dalla corsa al successo. Il libro è infatti un'apologia degli spiriti oziosi, gli unici che servono davvero all'umanità, i soli che hanno qualcosa da donare, un invito a trasgredire orari, ritmi, istituzioni, strutture; una dimostrazione che la sola felicità che ricordiamo di aver provato ci proviene da tutte quelle volte che non ci siamo fatti illudere dalla chimera del successo e che siamo sfuggiti alle maglie del falso dovere.