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Nonostante si muova ai confini della legalità, la Gangster Squad è a suo modo un grido di innocenza. Siamo negli anni Quaranta a Los Angeles, la Città degli Angeli, del sole e delle infinite possibilità, come agli americani piace pensare. Qui il male non esiste per definizione, e se esiste, viene da fuori, e là lo si può ricacciare. È un atto di fede pensare che, mentre nell'ombra sta prosperando una città di vizi e delitti, per contrastare questo male basti approntare una squadra di otto poliziotti conferendogli tutti i poteri. Otto spazzini del crimine per tenere a bada un mostro, la mafia, di cui solo dieci anni dopo l'FBI riconoscerà ufficialmente l'esistenza. Questa è la storia vera di quel manipolo di uomini e della loro guerra alla criminalità organizzata e al nemico numero uno, Mickey Cohen, boss della cosiddetta mafia ebraica. Uno di quei piccoletti che hanno capito che diventi più alto e grosso, con una pistola, e che da allora non l'ha mai lasciata raffreddare. Uomini tutti d'un pezzo come il sergente John O'Mara, sagrestano nella sua chiesa, o più disillusi, ma tutti investiti dalla suprema missione di combattere il male. Con qualunque mezzo, non importa quanto lecito. Interrogatori non convenzionali, perquisizioni, intercettazioni, interferenze con la stampa. La caduta dell'innocenza non si è ancora verificata, ma la storia della squadra Gangster e dei suoi uomini con licenza di muoversi nella zona grigia in cui salvezza e dannazione si confondono, è il primo passo di un lungo addio.