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Quando L'arte di perdere peso uscì alla fine del secolo scorso, un po' dovunque in Europa fu accolto come l'ultimo esempio di quella letteratura di ambiente internazionale che aveva riconosciuto in Somerset Maugham e Paul Bowles i propri numi tutelari, e insieme come uno dei prodotti più maturi del cosiddetto post-modem. Come sempre controcorrente, Cesare Garboli definì invece il libro "una tragedia travestita da romanzo". Una definizione che tuttora può illuminare questo racconto a più voci, in larga misura ambientato in un albergo nel sud della Tunisia, dove un delitto incomprensibile quanto feroce annoda e separa il destino di un gruppo di viaggiatori, nel corso di un'estate che segnerà per sempre le loro esistenze. Ambizioso nella sua complessa architettura narrativa, il romanzo di Fortunato si legge come una storia appassionante e imprevedibile, piena di misteri e colpi di scena, al cui centro risiede una domanda cruciale: se sia la vita stessa quel peso che bisogna imparare a perdere, per accedere al suo senso - ammesso che la vita ne abbia uno.