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Dove è più facile aprire un'impresa? In un paese dove si possono fare affari con relativa semplicità. Nella classifica della Banca Mondiale, l'Italia è all'820° posto, dopo il Kazakhistan, la Serbia, la Giordania e la Colombia. Merito della nostra infernale burocrazia. Un giornalista prova a diventare imprenditore. Segue i corsi di primo soccorso, quello antincendio, quello sulla prevenzione degli infortuni. Frequenta commercialisti e avvocati. Informa le "lavoratrici gestanti" dei rischi che corrono - ma solo quelle "di età superiore ad anni 15". E poi c'è l'Asl con tutti i regolamenti sull'igiene e l'obbligo di installare e numerare le trappole per topi (non basta il topicida vogliono fare una statistica?). C'è persino il decalogo che insegna quando bisogna lavarsi le mani. Compra centinaia di marche da bollo, compila (e paga) un'infinità di bollettini postali. Sei mesi dopo e con centomila euro di meno, apre finalmente l'attività: un piccolo negozio di pizza d'asporto. Ma a quel punto si trova a dover fare i conti con i cosiddetti "lavoratori" e con i sindacati. Dopo due anni infernali, chiuderà bottega. L'eccessiva rigidità nei rapporti di lavoro porta a un eccesso di flessibilità? Le leggi troppo restrittive spingono inevitabilmente verso l'economia sommersa e il lavoro nero? Sono i temi di discussione in questi mesi caldi, mentre si parla di riforma della Legge Biagi. Quello di Gigi Furini non è un trattato di economia del lavoro. È il resoconto di due anni impossibili...