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Siamo alla fine degli anni Settanta e le donne, be', le donne parlano. Si riuniscono in collettivi e gruppi. Si organizzano. Si incazzano. E gli uomini, che fanno gli uomini quando sono tra loro, da soli? Per le donne resta un mistero, ma forse un po' anche per gli uomini, almeno a giudicare dalle perplessità del narratore quando Cavanaugh, un uomo di successo, senza crepe, lo invita a unirsi a «una normale occasione sociale al di fuori del lavoro e del matrimonio». E finisce così una sera nella taverna di uno sconosciuto, insieme ad altri sei, tutti non più giovani ma certo non ancora vecchi. Ognuno di loro ha un passato non abbastanza lontano per essere davvero dimenticato. Ognuno ha il ricordo di una donna posseduta come non si è posseduta nessun'altra. Ognuno ha perso qualcosa che teme di non poter trovare mai più. Ognuno sente il bisogno di confessare il proprio fallimento. Nonostante sia stato uno scrittore tutto sommato poco prolifico, già in vita Leonard Michaels era stato accostato ai grandi maestri della tradizione ebraica suoi contemporanei o poco più vecchi, come Saul Bellow, Bernard Malamud, Norman Mailer e Philip Roth. Michaels aveva un dono: ogni cosa che scriveva prendeva vita. La profondità con cui sapeva esplorare il cuore degli uomini, la sicurezza con cui si muoveva negli ambigui territori delle relazioni sentimentali, il controllo magistrale che aveva di ogni elemento della scrittura, ne hanno fatto l'oggetto, negli Stati Uniti, di un culto tanto profondo quanto diffuso anche a quindici anni dalla morte (avvenuta nel 2003).