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La preziosa stoffa del narratore, di quel grande affabulatore che è Vincenzo Cerami, si ritrova nei mille rivoli e nella folla di sentimenti che percorrono queste poesie, "Alla luce del sole". Cerami è volta a volta cupo, solare, aggressivo, gioioso, risentito, tenero... Vive con passione nel presente, ma porta in sé il senso debordante di un passato carico di eventi e storie, di circostanze ritagliate da una memoria personale sempre attiva. Eppure, ci dice, in versi di singolare energia concreta: "la memoria è una casa inabitabile con tartarughe morte, orologi rugginosi, tovaglie di perline stinte, frottole di legno marcito, sedie rovesciate, stemmi caduti dal chiodo, e una panca rimasta intatta, di legno greggio". Un campionario di residui, di oggetti ai quali il poeta peraltro non vuole affatto solo abbandonarsi, lontanissimo com'è da ogni possibile cedimento crepuscolare. E infatti afferma: "Ogni mattina di me amo i più remoti futuri e a sera rimpiango i futuri remoti". Insomma, questi nuovi versi di Cerami sono attraversati da una vitalità quanto mai intensa, anche se il suo è sempre un atto d'amore, nei confronti della vita, perfettamente consapevole della sua provvisorietà, del suo rapido andarsene: "ho bisogno d'olezzo di morte per parlare della vita". La quale, del resto, è da lui intesa come "tabula lusoria", e dunque come un formidabile quanto sempre rischioso puzzle, come un gioco senza soste fino al definitivo alt.